Al calare del sole dietro le cime nevose irradiate dal glorioso tramonto, la campana dello stabilimento squillò la sua nota acuta e fessa ad annunciare, per quel giorno, la fine del lavoro.
Da la filanda e dal filatoio, due grandiosi fabbricati che si guardavano da gli opposti scrimoli del burrone, fra di loro congiunti per mezzo di un solido ponticello alto sopra il torrente, le operaie grandi e piccole, a due a due, a quattro, a frotte, alcune imbronciate e taciturne, altre allegre e chiacchierine, parecchie svogliate, dal camminare strascicato e un visibile abbattimento per la persona tutta, uscirono e si incamminarono per a la volta delle loro case; giù al paese di piè del monte, su per i villaggi ed i casolari disseminati per la costa della montagna o acquattati fra le piante della vallata.
Per uscire fuori dello stabilimento, le filandiere dovevano sfilare davanti le finestre degli uffici che davano sul cortile.
A Dora Toldi, seduta nello sguancio della finestra, insieme con il cicaleccio, le risate, il fracasso delle zoccolo su l'acciottolato, giungeva il puzzo tiepido e nauseabondo dell'umido vapore sprigionato dai bozzoli in ebullizione.
Uno ad uno gli impiegati dell'amministrazione se ne andarono. E Dora rimase sola a finir di sbrigare la corrispondenza, aguzzando gli occhi per raccogliere la luce, ormai fosca, del giorno morente.